In occasione della XIV edizione del premio “Goccia d’Oro”, spunti di riflessione e analisi della criticità della filiera olivicola nazionale: “la maggior parte dei produttori e esperti di olio, in genere, riempiono le sale raccontando il nulla”

di Sebastiano Di Maria (articolo pubblicato su Teatro Naturale – 12 gennaio 2018)

Il termine sinergia è diventato un must tanto che neanche il settore olivicolo-oleario, quello vero, ancora molto legato alla tradizione contadina e, per certi versi, ancora molto conservativo, può sottrarsi alla logica dell’obiettivo comune da raggiungere attraverso la cooperazione, la collaborazione, la comunione d’intenti. Se da una parte possiamo affermare che ci sono degli esempi virtuosi in tal senso, alla stessa maniera riteniamo che, spesso, lo “stare insieme”, che è l’ultimo passo di un percorso di crescita, viene anteposto a concetti basilari come qualità, dialogo e confronto, obiettivi che, sinceramente, ci sembrano ancora molto lontani dal raggiungimento. Quando l’amico Maurizio Pescari, a Larino, nello scorso mese di dicembre, durante la XIV edizione del premio “Goccia d’Oro”, davanti ad una folta platea di studenti dell’Istituto Agrario e dell’Istituto Alberghiero (“le due scuole più importanti”), oltre che di produttori e operatori della filiera dell’Evo, ha tuonato “chi non sa far l’olio deve smettere, non è la tradizione di famiglia che c’è lo impone”, ha sgombrato il campo da qualsiasi equivoco. MarasciuloQuale occasione migliore se non il premio dei migliori extravergini, promosso dall’agenzia regionale per lo sviluppo agricolo (Arsarp) in concomitanza (sinergia?) con la tappa regionale di GirOlio dell’associazione nazionale delle città dell’olio, nata proprio a Larino nel 1994! L’occasione era troppo ghiotta per farsela sfuggire, tenuto conto che gli interlocutori tecnici, oltre a quelli istituzionali, seduti al tavolo dei relatori, rispondevano al nome di Giorgio Mori e Alfredo Marasciulo, due che la qualità dell’olio extravergine ce l’hanno codificata nel loro DNA. In realtà le provocazioni di Pescari sono andate anche oltre e a farne le spese è stato sempre il mondo agricolo, con le sue “radici ottuse e condizionanti”, chiaro è il riferimento ai soliti errori che si compiono per consuetudine o addirittura in nome di una tradizione, ormai proposta in tutte le salse, che ha sempre prodotto oli mediocri. Mentre c’è chi si affanna a parlare di sinergie, di comunicazione, o di cultura dell’olio extravergine d’oliva raccontando quello che fu, si continua a non conoscere la materia prima, ma, soprattutto, a non conoscere l’olio e le sue dinamiche. Proprio così, “l’Evo nasce in frangitura, lì si genera il suo DNA, pertanto le macchine sono importanti ma è l’uomo quello determinante”. Chiare e dirette le parole del visionario Giorgio Mori, che hanno aperto ad un intervento ricco di spunti sulle innovazioni tecnologiche in arrivo, ma anche sul biochimismo dell’olio (questo sconosciuto) dalla frangitura in poi, positivo (per esempio l’azione della lipossigenasi con formazione di aldeidi, esteri e alcoli responsabili delle sensazioni aromatiche del fruttato) o negativo (azione della perossidasi con degradazione dei biofenoli e produzione di perossidi). “La qualità va mantenuta, nel processo di estrazione, attraverso una temperatura condizionata che varia per le diverse cultivar, ma che comunque non deve mai superare i 28 °C”, chiosa lo stesso Mori. Quanti frantoiani, ci chiediamo, possono confermare di seguire o, forse, ancora meglio, di conoscere questo concetto? CorboPare chiaro che il nodo della discussione è la non conoscenza dell’olio, aspetto ribadito, manco a dirlo, anche da Alfredo Marasciulo, capo panel del prestigioso concorso Biol, che piazza un bel carico da undici: “la gente non credo ha idea di cosa stiamo parlando, visto che alla base c’è un problema culturale, ed in particolare per la maggior parte dei produttori e esperti di olio che, in genere, riempiono le sale raccontando il nulla”. Parole pesanti come macigni che, ancora una volta, pongono il problema di una corretta informazione e/o formazione; “il problema del prezzo, e quindi della giusta remunerazione per i produttori, è solo una conseguenza”, insiste lo stesso Marasciulo che poi chiosa, rimarcando il delicato ruolo del frantoiano: “l’assaggiatore di olio è importante in frantoio, quando si fanno classifiche è già troppo tardi”. Insomma, sembra che i tempi dell’olio carburante, della massimizzazione delle rese o l’aspettare il mese di novembre per raccogliere le olive, così come le lavorazioni all’aria aperta, figlie della “migliore” tradizione olearia, facciano, pian piano, parte del passato. E’ giunta l’ora di lasciarsi alle spalle le convinzioni figlie dell’abitudine, mentre bisogna focalizzare le nostre attenzioni su due protagonisti: il produttore di olio, che deve “imparare a parlare” e a confrontarsi con gli altri, ed il frantoiano, che deve conoscere approfonditamente l’olio e le sue dinamiche (essere frantoiano non è solo cavar l’olio dalle olive!). Perché più che l’ossigeno, la luce e la temperatura, il vero nemico dell’olio extravergine è l’uomo.