Dopo una prima parte della giornata ricca e proficua, tra vino, olio e storia del popolo della terra dei Pentri, tra i Comuni di Monteroduni e Venafro, raccontata in quest’articolo (prima parte), e dopo un ricco pranzo, a base di pietanze locali, presso un agriturismo, ci si è spostati in un altro angolo di Molise che racconta e trasuda di storia, nei pressi di Castel San Vincenzo, a qualche chilometro dalle sorgenti del fiume Volturno. In quest’angolo di Molise, ai piedi delle Mainarde, dove si possono ammirare gioielli come il Castello Longobardo di Cerro al Volturno, o il Castello Battiloro di Rocchetta al Volturno, o ancora scendendo verso Venafro, la Scapoli famosa in tutto il mondo perché patria della Zampogna, si staglia la Basilica di San Vincenzo al Volturno, costruita nei pressi dell’antico Monastero benedettino Alto-Medioevale che rappresenta una delle opere di archeologia più importanti e imponenti della Regione.
Alessandra Capocefalo durante la visita guidata
La sua fondazione risalirebbe agli inizi dell’VIII secolo, per mano di tre nobili beneventani (Paldo, Taso e Tato), come luogo di contemplazione, mentre alla fine del secolo, Carlo Magno, lo pose sotto la sua diretta protezione con un privilegio di esenzioni fiscali e giudiziarie, per la sua importanza, da un punto di vista geopolitico, di posizione d’avamposto. Con la preziosa guida dell’archeologa Alessandra Capocefalo, i presenti hanno fatto un tour all’interno della struttura attraverso le parti più rappresentative, come la chiesa sud, dedicata alla Vergine, o quella nord detta di Epifanio con la relativa cripta, la sala dei profeti, il refettorio o la cappella di Santa Restituta, ricostruendo anche quelle che erano le scene di vita quotidiana dei benedettini, circa 350 ospitati all’interno della struttura, che poteva contare di ben dieci chiese e tanti possedimenti terrieri nell’Italia centro-meridionale.

Tombe rinvenute all’interno dell’immensa struttura del monastero
Spostandosi dall’Abbazia di San Vincenzo al Volturno, lungo la statale che porta a Roccaraso, si giunge, ai margini del Parco Nazionale d’Abruzzo e dell’alto bacino del Volturno, a Montenero Val Cocchiara, ultimo comune della Provincia d’Isernia, vecchio feudo dell’Abbazia di San Vincenzo. Quasi nascosta, nel territorio del comune, c’è immensa estensione pianeggiante, di circa 900 ettari, circondata da boschi e sottobosco, che la delimitano come una sorta di “anfiteatro naturale”, nota come Pantano della Zittola, dall’omonimo torrente che la attraversa. In realtà, tutta l’area, rappresenta una delle paludi più importanti dell’Italia centro-meridionale, difatti è un sito d’interesse comunitario (SIC), oggetto di numerosi studi, luogo di sosta di uccelli migratori come la Cicogna, l’Airone, il Gufo Reale e il Falco. La valle è caratterizzata da uno spesso strato di torba, accumulatasi nel corso della storia, che funge da spugna in inverno assorbendone l’acqua – il pantano in inverno si presenta come un enorme lago naturale – facendola poi defluire in estate. L’interesse delle torbiere riguarda l’enorme serbatoio di biodiversità, floristica (rilevate circa 300 specie botaniche, molte rarissime o presenti solo nelle zone alpine, a rischio estinzione) e faunistica, e proprio in questo habitat, grazie anche alla tenacia degli abitanti locali, in questi luoghi destinati alla produzione di foraggio e al pascolo, è sopravvissuta una razza autoctona equina, il cavallo Pentro, originario proprio del Samnium Pentrum, da cui il nome, unica razza in Italia che vive allo stato brado.
Veduta del Pantano della Zittola

Il cavallo Pentro, risultato di secoli di adattamento all’ambiente ostile della valle, situata a 900 metri di altitudine con inverni molto rigidi, è stato a rischio estinzione, anche perché preda di orsi e lupi del vicino parco, come ci hanno spiegato Emilio Pietrolà ed Elisabetta D’Ercole, corsisti della Scuola del gusto, ma anche impegnati in passato, in diversa misura, proprio nello studio e nella tutela di questa specie autoctona con l’Università del Molise. Tra i pochi capi rimasti, i ricercatori sono stati in grado di individuare, attraverso un capillare studio, il tipo omogeneo pentro, vista una certa eterogeneità all’interno della specie, con lo scopo di tutelarne la sopravvivenza, trasformandolo da produttore di carne, attraverso la scelta dei riproduttori, in un cavallo per il turismo equestre o equitazione di base, per portare fuori dai confini regionali il Molise, anche attraverso un piccolo sostegno che nel 2005 fu stabilito con una legge regionale. Una delle iniziative promosse per la sua tutela, tra le altre, è stata l’istituzione di un rodeo, che si svolge nella valle nel periodo di agosto.
Il cavallo Pentro

Dopo una lunga e ricca giornata, alla scoperta delle radici della terra pentra, attraverso la storia, l’arte, l’archeologia, le produzioni agroalimentari e la straordinaria biodiversità, si chiude il secondo “Itinerario del gusto” e il secondo anno del progetto “Scuola del gusto”, che ha portato i corsisti a confrontarsi con le problematiche riguardanti la filiera dell’olio extravergine d’oliva. Dopo la pausa estiva cominceremo a lavorare su un nuovo filone di studio che non mancherà di novità e nuovi sviluppi, sempre legati a una filiera produttiva e al legame con il territorio. 
Scuola del gusto
scuoladelgustolarino@gmail.com