Con tutto il rispetto per l’Università del Molise e per le ricerche di altri
studiosi che hanno portato a ritenere (non so su quali definitive basi) che la
Tintilia sia stata importata nel XVIII secolo dai Borbone nel nostro territorio
o che non vi sia alcuna parentela genetica con i vitigni spagnoli oggi
esistenti, io sono convinto che la storia sia un po’ diversa.
Di fronte all’assoluta mancanza di fonti esplicite, forse un qualche aiuto,
ovviamente senza la pretesa che le conclusioni siano definitive, ci viene
dall’arte.
La rappresentazione dell’uva nelle forme artistiche del passato nel Molise ha
avuto un successo che potremmo definire straordinario. Anzi, dei tralci, degli
intrecci vitinei e dei grappoli d’uva si è fatto un uso addirittura
generalizzabile in tutta l’arte regionale, dall’epoca longobarda (si vedano le
lastre decorate di S. Giorgio a Petrella Tifernina o quelle di S. Maria della
Strada) a quella normanna, a quella barocca degli altari lignei seicenteschi e
settecenteschi che sono diffusi in tutta la regione.
Tutte figurazioni riconducibili al significato simbolico dell’uva che nella
tradizione cristiana viene associata al vino e al sangue di Cristo.
Nella nostra regione vi è un solo caso in cui la rappresentazione dell’uva
non ha alcun rapporto con la religiosità e lo si trova nella sala della
Battaglia di Otranto nel castello di Gambatesa.

 

Credo si tratti sicuramente della più originale rappresentazione
paesaggistica del Cinquecento del Regno di Napoli perché, all’interno di una
stanza, Donato De Cubertino volle creare l’effetto di uno spazio aperto, una
sorta di belvedere con pergolato, dal quale si poteva vedere il mare di Otranto,
ma anche uno scorcio di Tivoli, un angolo della sua biblioteca e una figura di
donna che contemporaneamente significa l’Estate ma anche il taglio della
Morte.

 

Donato De Cubertino dipingeva a Gambatesa esattamente alla metà del
Cinquecento, come chiaramente riferisce nella stanza attigua dove addirittura
precisa che il giorno in cui dovrebbe aver terminato le fatiche commissionategli
da Vincenzo di Capua era il 10 di agosto del 1550:
IO . DONATO . PINTORE
DECUMBERTINO . PINSI A . DIE . MENSI . X . AGUSTI . NELL’ANNO DEL CINQUANTA.
Nelle decorazioni del castello di Gambatesa De Cubertino fece grande uso di
frutte e verdure, sulla scia delle decorazioni di Giovanni da Udine che
sicuramente aveva visto a Roma alla Farnesina e in altri palazzi della prima
metà del XVI secolo.
Si tratta di decorazioni che sono vere e proprie composizioni localizzate
all’interno di cornici.
Nella sala della Battaglia di Otranto, invece, la frutta, cioè l’uva, si vede
come parte essenziale dell’apparato scenografico perché ancora attaccata alla
pianta che si intreccia sulla parte aerea del pergolato.
Ma non è una generica rappresentazione decorativa.

 

Donato De Cubertino nel castello di Gambatesa trasferisce, reinterpretandole,
vedute di Roma e della campagna romana.

In questo caso sembra voler evidenziare una caratteristica del luogo nel
quale le scene non regionali vengono trasferite. Perciò sono convinto che egli
abbia voluto gratificare il committente inserendo nel contesto scenografico
della sequenza delle stanze un ambiente agricolo particolarmente consueto nel
territorio di Gambatesa (o comunque del feudo di Vincenzo che arrivava fino a
Termoli prendendo parte consistente della fascia costiera) dove la coltura
della vite assumeva una importanza anche dal punto di vista economico.
D’altra parte siamo alla metà del 500 e la cultura del vino, dei
trattamenti, delle modalità della spremitura e della conservazione si andavano
diffondendo non solo in Italia, ma in tutta l’Europa rinascimentale.
(Continua)

Franco Valente
franco@francovalente.it